Il tramonto di un Far-West legislativo.
Fine di un vuoto fiscale
Dalla sua nascita ad oggi, in Europa ed in Italia il mondo cripto è stato oggetto di un vero e proprio vuoto normativo.
Questo periodo di iniziale incertezza è ufficialmente giunto al termine con la Legge di Bilancio 2023.
Ora anche l’Italia, in accordo alla direzione europea, possiede una disciplina fiscale strutturata riguardo le criptovalute, per inquadrare le quali è stato appositamente coniato un termine nuovo: cripto-attività.
I nostri amati bitcoin non sono più semplicemente assimilati a possedimenti in valuta estera.
Il termine cripto-attività comprende tutte quelle forme di valore prodotte e rappresentate tecnologicamente, tra cui appunto le criptovalute in primis, ma anche ad esempio gli NFT (Non-fungible-tokens).
Un chiaro segno della costanza con cui Bitcoin va imponendosi anche agli occhi delle istituzioni, nonché un passo in avanti da parte dello Stato verso la comprensione di queste nuove forme di ricchezza.
I punti chiave della norma
Una recente circolare dell’Agenzia delle entrate (30E) fa chiarezza circa i punti fondamentali della nuova normativa in ambito tassazione delle criptovalute.
La nozione fondamentale a riguardo è quella di plusvalenza.
La plusvalenza è il guadagno effettivo ottenuto in valuta FIAT sulle compravendite in criptovaluta effettuate nel corso dell’anno fiscale.
Sarà questo surplus ad essere fatto oggetto di tassazione per un’aliquota al 26%, ma soltanto a patto di essere risultato superiori a 2000 euro nel corso dell’anno.
Ad esempio, se nel corso dell’anno fiscale effettuo degli scambi in criptovalute guadagnando 800 euro, non dovrò dichiarare nulla: 800 euro è un valore che rimane all’interno della franchigia di 2000 euro garantita dalla normativa.
Se però guadagno 2800 euro, allora questi 2800 euro, superando la franchigia di 2000, saranno tassati come da norma al 26%.
I nostri bitcoin saranno dunque fatti oggetto di tassazione soltanto al momento di essere convertiti in valuta FIAT.
Fino a quando le cripto sono convertite in altre cripto (ad esempio, da Ethereum a Bitcoin) esse non dovranno essere dichiarate.
Tutto questo vale però unicamente nel caso in cui la giacenza media del nostro portfolio cripto sia stata almeno di 51.645,69 euro per sette giorni lavorativi consecutivi.
Se il nostro portafoglio non ha toccato questa somma in termini di giacenza media, nemmeno la nostra plusvalenza sarà ritenuta imponibile.
Come dichiarare all’atto pratico?
Al fine di effettuare la dichiarazione sarà necessario utilizzare il Modello Redditi Persone Fisiche.
Questo documento è purtroppo di non facile compilazione per il normale investitore cripto, per il semplice motivo che i proventi del nostro duro lavoro da farmer virtuale sono spesso molteplici e ingarbugliati.
Può diventare dunque molto difficile riuscire a rendicontare cosa si sia guadagnato da dove e tramite quale operazione.
Il documento si divide in due grandi sezioni.
- Il QUADRO RT,
Sezione nella quale occorre dichiarare i propri redditi diversi (tra le quali criptovalute, NFT, azioni, obbligazioni) ai fini della tassazione, nonché le eventuali minusvalenze – le perdite avute nel corso delle nostre cripto-attività.
- Il QUADRO RW,
Necessario al monitoraggio fiscale da parte dello Stato. Qui si dovranno dichiarare le proprie valute digitali se la giacenza media è stata almeno pari al valore di 15.000 euro, anche solo per un giorno (come per le valute estere).
Dunque se nel corso del mio anno fiscale mi ritrovo ad aver acquistato 20.000 euro in Bitcoin, essi non saranno considerati imponibili fino a quando non saranno convertiti in valuta FIAT.
Essi dovranno però essere comunque dichiarati nel Quadro RW, in quanto superano la soglia di 15.000 euro.
L’aiuto di un commercialista o di uno studio di professionisti è fondamentale per non perdere pezzi nel corso di questo arduo processo.
“E se non dichiaro?”
Lo Stato prevede delle severe sanzioni nel caso in cui ci si dimentichi di dichiarare i propri proventi derivanti da cripto-attività in sede di dichiarazione dei redditi.
La regola ufficiale è quella di dover pagare dal 3 al 15% del totale degli importi non dichiarati, nel caso in cui si venga scoperti a nascondere questa cifra al Fisco.
Lo specifico importo varia in base alla quantità del valore non dichiarato.
Nel caso in poi di una particolare gravità della violazione, ad esempio il tentativo di nascondere cifre superiori ai 50.000 euro, si può passare al raddoppio della sanzione (da 6 a 30%) fino addirittura alla reclusione.
Vi è tuttavia anche la possibilità di pagare un’imposta sostitutiva per mettersi di nuovo in buoni rapporti col Fisco nel caso di redditi non dichiarati nel corso degli anni passati.
La prima possibilità è quella di pagare uno 0,5% per ogni anno non dichiarato sul quadro RW sul totale dei propri importi passati, se questi non ci hanno fruttato redditi.
Nel caso invece di redditi non dichiarati, oltre a questa somma dovrà essere versato un 3,5% per anno sul totale di queste stesse attività.
Riforme di grande importanza
Per quanto a nessuno piaccia dover pagare le tasse, riforme di questo genere indicano che il tempo è maturo per una svolta nei rapporti tra mondo cripto e istituzioni ufficiali.
Insieme alla regolarizzazione fiscale delle cripto-attività viene infatti anche la normalizzazione della pratica di compravendita Bitcoin.
Se da una parte lo Stato si premura che una quota di queste attività siano cedute al Fisco, dall’altra, proprio per questo, esso riconosce che le attività criptovalutarie sono qualcosa non di passeggero, ma che è arrivato qui per restare.
Questo mutamento di clima può far storcere il naso ad alcuni.
Vi sono ancora cripto-anarchici e massimalisti desiderosi di mantenere il mondo delle criptovalute assolutamente al di là di ogni norma e confine legale.
Una bella idea, macchiata però dalla quantità disarmante di truffe e attacchi hacker di cui sono spesso vittime investitori innocenti.
Il Far-West di questi primi anni ha permesso a molti di fare soldi velocemente grazie all’esplosività che le criptovalute hanno dimostrato di possedere.
Ma questo stato di cose rimarrà così per sempre?
Ricordiamoci che Bitcoin non è soltanto un mezzo per “tirar su due spicci” velocemente. Bitcoin è anche, e soprattutto, uno strumento di liberazione e un attestato di libertà.
Portare lo Stato al riconoscimento della realtà di Bitcoin significa anche portare le rivendicazioni di Nakamoto nel cuore stesso delle istituzioni, un processo che passa anche attraverso una legislazione di questo genere.