Un ambientalismo di facciata.

Un bel mattino l’Occidente ricco si svegliò e si rese conto che stava consumando troppo. Non però i colossi della finanza, i mostri dell’industria carbonifera, le piattaforme di estrazione dell’olio e gli impianti di produzione automobilistica erano da ritenere responsabili di questo stato di cose.

No no.

Bitcoin.

meme dog

L’accusa rivolta a Bitcoin di essere una voragine di consumo di energia elettrica risale all’inizio dei tempi ed è ridicola.

L’attacco a Bitcoin è dettato soltanto da motivi politici. 

La facciata green non è per l’appunto nient’altro che una facciata, la quale nasconde il tentativo di togliere di mezzo Bitcoin col ricatto morale del “consumo energetico”. 

In un’epoca storica in cui viene considerato non troppo problematico che la sola Norvegia possa consumare più energia elettrica di tutto il continente africano, le code di paglia del giornalismo finanziario si incendiano al timore delle conseguenze sull’ambiente che potrebbe avere l’industria del mining di Bitcoin.

Non facciamoci fregare, eh?

Non intendiamo negare che vi siano dei costi dietro Bitcoin. Dei costi ci sono eccome. Quello che noi vogliamo sostenere è che questi costi sono legittimi. Tra tutti i fenomeni che nel mondo contemporaneo richiedono costi altissimi per essere mantenuti e prodotti, perché proprio Bitcoin deve finire sotto accusa resta un mistero. 

Chi ha il diritto di arrogarsi di decidere per gli altri cosa sia una spesa ben fatta, e cosa no?

Bitcoin è una spesa legittima.

La questione è magistralmente illustrata dall’economista Saifadean Ammous nel suo classico, The Bitcoin Standard (2017). 

Trattando proprio della questione se i costi del mining di Bitcoin siano eccessivi o meno, Ammous risponde che soltanto i consumatori del prodotto che viene generato possono rispondere a questa domanda. 

Se chi paga per l’energia necessaria a mantenere la blockchain di Bitcoin è soddisfatto, allora il costo in energia non è eccessivo.

Bitcoin non è un accessorio secondario. 

L’energia necessaria ad alimentare l’infrastruttura-Bitcoin sostiene anche una domanda di rinnovamento e libertà che l’Occidente invocava da tempo. Criticare il costo di Bitcoin perché è alto, quando questo costo è l’unica spinta che mantiene aperto uno spiraglio su un futuro più luminoso per noi e i nostri figli, è totalmente insensato.

L’interesse dei benpensanti per il benessere delle nostre tasche e della salute della Terra è in malafede. 

Il problema del surriscaldamento climatico non inizia e non finisce certo con Bitcoin. Per decenni abbiamo rimandato il momento di fare scelte decisive nei riguardi dei problemi dell’inquinamento e del surriscaldamento climatico, molto, molto prima che Bitcoin fosse anche soltanto un’idea. 

Chiediamoci se l’energia richiesta a produrre e diffondere armi in tutto il mondo sia una spesa legittima, oppure no.
Se lo sia quella necessaria a mantenere l’industria dei videogiochi, dei cosmetici, dei giocattoli, dell’intelligenza artificiale… 

Avrebbe senso porre queste domande?

Queste critiche non intendono salvare la Terra. Distruggere Bitcoin in nome della moneta fiat – sulla quale il governo ha controllo – è l’unico vero obiettivo.

Proof-of-Work: un successo assoluto

Proseguendo nella sua argomentazione, Ammous fa notare quanto poco le persone apprezzino ciò che Bitcoin è riuscito a costruire, anche grazie a questi sforzi energetici.

L’algoritmo necessario a generare bitcoin è ciò da cui dipende il così alto consumo di energia da parte della blockchain.

Questo meccanismo si chiama Proof-of-Work (PoW, prova di lavoro) e crea bitcoin come premio per i miners che hanno messo i loro nodi al servizio della blockchain per validare e creare nuovi blocchi. Per farlo è richiesto di risolvere complicatissimi puzzle matematici, il che richiede un alto livello di energia computazionale da parte di questi computer.

In altre parole: occorre elettricità.

Questi costi non sono però degli sprechi, dal momento che la blockchain Bitcoin è riuscita ad assolvere perfettamente al ruolo per il quale era stata creata: garantire un sistema di generazione, mantenimento e distribuzione della ricchezza inviolabile e sicuro.

Bitcoin non ha mai fallito, non ha mai tradito la fiducia riposta in esso dai suoi utilizzatori.

Questa incrollabilità di Bitcoin è una conseguenza proprio dal fatto che il sistema che lo mantiene in vita dipende dalla misura del lavoro, quindi energia computazionale, che i nodi hanno messo nel produrre blocchi, risolvendo questi puzzle matematici. 

Questo processo consiste nel flusso di auto-generazione della blockchain che chiamiamo hashrate

Nessun hacker può simulare una tale mole di lavoro per intervenire sulla blockchain a danno dei nodi onesti. Se tentasse di farlo, il costo diventerebbe così esorbitante da nullificare qualsiasi guadagno derivante dal suo improbabile successo.

Criticare Bitcoin perché costa tanto è dunque una critica impostata male fin dal principio, per tornare ad Ammous. Il gioco vale la candela.

Il costo di Bitcoin è il costo necessario nel nostro tempo a poter rivendicare per sé e per i propri cari una libertà finanziaria, sociale e dunque anche politica. 

Se questo costo sia eccessivo o meno lo decideranno chi di questa libertà ne gode, e non invece chi vorrebbe vederla soppressa e schiacciata in favore di altri generi di libertà… a loro più congeniali.

Pregiudizi e stereotipi da smentire.

Le critiche rivolte a Bitcoin sul piano ambientale non reggono nemmeno da un punto di vista unicamente ecologico, e proprio a causa della loro malintenzionata unilateralità.

Proprio recentemente Route-Crypto-Training ha pubblicato sul suo sito il report di uno studio condotto dal MIT sulle possibilità positive, anziché su quelle negative, che il mining di Bitcoin potrebbe avere sull’ambiente nei prossimi decenni.

Tra gli scenari proposti vi sono:

  1. la riattivazione di pozzi di petrolio abbandonati
  2. la cessazione del fenomeno inquinante del flaring
  3. l’incentivo dato alle energie rinnovabili, nonché 
  4. la possibilità di creare una domanda di energia sostenuta in Africa tramite la diffusione a tappeto di stazioni di estrazione di bitcoin (rigs). 

In questo modo si garantirebbe così finalmente all’antico continente la possibilità di attrarre investimenti in ambito energetico, concedendogli dunque un accesso costante all’elettricità.

L’aspirazione alla giustizia sociale è d’altronde forse la spinta principale di Bitcoin, per cui dunque anche per vie traverse nulla di strano che si ritorni sempre lì.

Non occorre essere né degli economisti né degli ingegneri ambientali per notare la posizione assolutamente di parte delle critiche rivolte a Bitcoin. 

Gli scienziati faranno i loro dibattiti e decideranno cosa è meglio per il clima. 

L’industria mineraria dei Bitcoin farà a propria volta la sua parte, garantirà stabilità e trasparenza e verrà incontro alle migliori intenzioni del governo di trovare un compromesso tra le sue esigenze e quelle dell’ambiente.